
Sono diversi anni che, insieme al Parco Nazionale delle Cinque Terre, organizziamo una serie di incontri formativi rivolti agli operatori turistici del territorio al fine di valorizzare e far conoscere le “vere” Cinque Terre.
Dopo alcuni incontri tecnici, nei quali l’obiettivo è quello di mettere in condizione tutti gli operatori di comunicare al turista la storia, le tradizioni e il vino delle Cinque Terre, si indossano le scarpe adatte e iniziano le visite in vigna, presso le aziende dei diversi produttori.
Ieri mattina era una giornata bellissima, soleggiata e tersa; dalla litoranea sopra Riomaggiore, rivolgendosi al mare, oltre l’orizzonte, si riuscivano a scorgere le isole Capraia e Gorgona, la Corsica, parte della costa toscana e la riviera ligure sino ad arrivare alla Francia, sulla quale svettavano il Monviso e le Alpi piene di neve.
Ci ha accolto il primo produttore e, portandoci in mezzo ai suoi fazzoletti di terra coltivata a vigneto, ci ha trasmesso la sua gioia, la sua serenità e il suo entusiasmo raccontandoci del suo lavoro. In questi ultimi anni è riuscito a recuperare piane abbandonate da decenni, riportandole a una produzione di uva di altissima vigoria e qualità. E’ riuscito a pulire piane sino a pochi metri dal mare, con l’intento di riprendere l’antica usanza, in tempo di vendemmia, di trasportare le corbe piene d’uva in paese.
Con orgoglio ci spiega come si impegna a utilizzare il più possibile prodotti naturali sulla terra e sulla vigna, facendosi aiutare da una stazione meteo di ultima generazione, così come facevano i vecchi, i quali, in base al suono delle campane, sapevano se fare o meno il trattamento alla vigna. Con altrettanto orgoglio ci racconta dell’ottima idea avuta per tagliare l’erba e concimare, senza far uso di diserbanti e concimi chimici, adottando delle galline e soprattutto delle oche.
In questo spettacolare contesto abbiamo poi assaggiato il suo vino rosato e, in anteprima, il passito bianco. Entrambi marcavano il territorio e la personalità del produttore: roccia, macchia mediterranea, mare, sale e passione.

Nel primo pomeriggio era previsto l’incontro con il secondo produttore, questa volta a Manarola e in un luogo altrettanto magico e spettacolare: a mezza costa nell’anfiteatro naturale che sovrasta il paese. Qui il produttore ci ha raccontato delle difficoltà incontrate per riunire tutti i terreni che oggi coltiva a titolo gratuito; i vecchi che spesso, sino all’età di ottant’anni, riescono ancora a coltivare ma, avanzando con l’età, pur di non vedere il proprio campo in abbandono, lo cercano e glielo lasciano.
Ci confida che la sua scelta di vivere soltanto di questa attività, seppur con grandi difficoltà, è da privilegiati poiché poche persone si possono permettere di lavorare in una terra così aspra e fragile ma, se ben curata, anche generosa e che, tutto sommato, grazie al lavoro sui terrazzamenti e sulle colline sostenute dai muri a secco, lasciato in eredità dai vecchi, oggi sembra quasi più semplice. Ma non bisogna dimenticare quanta fatica e quanto lavoro siano necessari per mantenere le vigne e per realizzare un ottimo vino in questi luoghi così impervi.
E’ stato molto piacevole vedere con quanto entusiasmo promuovesse il lavoro di squadra di tutte le aziende locali e il lavoro effettuato dalla Fondazione Manarola per il recupero dei campi incolti.
In cantina abbiamo assaggiato il suo vino e ci ha raccontato come lo vinifica, esaltando i profumi del vermentino senza assolutamente trascurare la struttura e la sapidità dell’uva bosco in bocca.
Conclusioni: due produttori che si mettono in gioco, con diversità di stile produttivo, ma con una luce negli occhi che sa’ di forza, coraggio, orgoglio, passione che li accomuna.